Fa riflettere e impensierire non poco il recente (e per ora solo accennato) orientamento del Governo Meloni che ha manifestato la volontà di ripristinare la pena detentiva reato di Atti osceni in luogo pubblico, attualmente punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000, inasprendone peraltro le pene. Pene già molto dure e severe anni fa, quando la tolleranza era certamente ridimensionata rispetto ad oggi, ed in cui bastava sentirsi liberi di fare ciò che si sentiva di essere per essere puniti con l’arresto e la reclusione.
Proprio come successe nel Novembre 1981 a Porpora Marcasciano, storica attivista trans e scrittrice italiana, che ha raccontato recentemente in suo post su Instagram di quel giorno in cui per quegli atti in luogo pubblico considerati osceni fu arrestata all’uscita dall’università. Aveva 24 anni e solo un po’ di matita agli occhi e abiti abbinati al periodo storico in cui viveva. Non aveva fatto nulla se non essere quello che era, quello che si sentiva di essere. Fu fermata durante una retata e condotta al carcere di Regina Coeli dove fu trattenuta per ben 4 giorni e 4 notti.
Al processo per direttissima, al quarto giorno, Porpora Marcasciano venne incriminata di Atti Osceni e il suo Avvocato, per tutta risposta, decise che il patteggiamento sarebbe stata la via, l’unica, da perseguire.
Si arrivò ad una condanna a due mesi di reclusione con la condizionale e la non iscrizione al casellario giudiziario: un misero trionfo spacciato per una vera conquista ottenuta da uno Stato che, con la legge sul “Buon Costume”, aveva da ridire sul modo di essere e di vivere delle persone omosessuali e transessuali.
Questa storia così tagliente e triste, dunque, accende i riflettori su un’ambizione quanto mai condivisa: quella di non incorrere in una regressione giuridica, in contrasto con l’attuale progresso culturale in atto in Italia, che la comunità LGBTQIA+ e il nostro Paese tutto non meritano di certo
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